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PET

 

Il proposito fondamentale della PET è la visualizzazione di alterazioni della funzione di un organo piuttosto che della sua struttura anatomica.

I recenti progressi tecnologici hanno dato un forte impulso alle applicazioni cliniche della PET in cardiologia, in neurologia, in psichiatria, ma, soprattutto, in oncologia (diagnosi e follow up delle neoplasie, monitoraggio della terapia, valutazione prognostica).

In neurologia e psichiatria clinica possono essere diagnosticate e caratterizzate soprattutto malattie degenerative come le demenze, studiare il morbo di Parkinson, individuare la sede dei foci epilettici o valutare gli effetti della terapia in malati schizofrenici.

Più dell’80% degli esami PET riguarda oggi lo studio dei tumori.

La modalità di ibridazione delle immagini, insieme con lo sviluppo dei software di “fusione” e di apparecchiature adeguate, consente inoltre di ottenere indagini che recano insieme le informazioni della PET e della TAC, la cosiddetta TAC-PET, dove è possibile cogliere contemporaneamente l’aspetto funzionale, cioè l’area di alterata utilizzazione del glucosio somministrato, e l’aspetto morfologico, cioè il dettaglio della struttura anatomica dove l’alterazione risiede.

La PET è uno degli strumenti diagnostici più innovativi, che sta conoscendo sempre maggiori consensi tra i clinici nelle diverse applicazioni diagnostiche.

Questa tecnica permette di studiare in vivo la biodistribuzione (cioè la distribuzione nei tessuti viventi) di svariati precursori metabolici, marcati con isotopi emettitori di positroni, e di ottenere immagini funzionali che descrivono la bioripartizione del tracciante.

Il radiofarmaco oggi più utilizzato è il 18FDG (fluorodesossiglucosio), che, introdotto nell’organismo, ha la caratteristica di essere assunto dalle cellule allo stesso modo del glucosio. La gran parte dei processi biologici che richiedono energia hanno necessità di utilizzare il glucosio come substrato, per cui si comprende come un analogo del glucosio, come il 18FDG possa essere considerato un marcatore di tutti i processi cellulari in attiva proliferazione.

Perché un tracciante “marchi” le cellule vitali e raggiunga in esse una concentrazione sufficiente da poterle visualizzare con favorevole rapporto segnale/fondo, è importante che entri nel metabolismo cellulare e che non venga rapidamente allontanato, né per successiva trasformazione e/o degradazione né per rilascio cellulare e il 18FDG possiede entrambe queste caratteristiche.

Per l’esecuzione dell’esame è necessario un digiuno assoluto da almeno 8 ore e astenersi dall’attività fisica intensa nelle ore precedenti l’esecuzione dell’esame stesso, per evitare interferenze nella captazione del tracciante.

E’ importante segnalare la presenza di diabete o la non completa osservanza del digiuno richiesto ed è buona norma effettuare una misura della glicemia prima della somministrazione del radiofarmaco.

Il tracciante viene iniettato in una vena del braccio o della mano. L’iniezione non comporta di solito nessuna reazione allergica o effetti collaterali.

Dopo l’iniezione è importate rilassarsi ed evitare l’attività fisica, per ridurre la captazione muscolare del tracciante. Durante l’attesa è preferibile bere due o tre bicchieri di acqua e di urinare frequentemente. Tale procedura ha lo scopo di ottimizzare la qualità delle immagini eliminando la radioattività presente in vescica, in quanto il radiofarmaco che non si fissa ai tessuti viene eliminato con le urine. L’esame inizia di solito circa 60 minuti dopo la somministrazione del radiofarmaco, la durata dell’esame varia dai 30 ai 40 minuti, durante i quali il paziente dovrà rimanere disteso sul lettino della macchina (simile alla TAC), mantenendo una respirazione tranquilla e senza cambiare posizione sul lettino.

Dopo l’esame è possibile riprendere le comuni attività, il tracciante non ha effetti da poter compromettere la capacità di guida. E’ buona norma non sostare in prossimità di donne in gravidanza e bambini nelle successive quattro ore.